domenica 13 novembre 2011

IL PENSIERO DI MARIO MONTI

In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’ opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può esser...e ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, ...cioè nel vincolo della competitività. Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.

Mario Monti, Corriere della sera, 2 gennaio 2011

giovedì 20 ottobre 2011

Proletariato oggi

‎"Chi sono i proletari oggi? Non solo i marginali. Non soltanto la classe operaia della fabbrica fordista. Sono coloro che non hanno mezzi di produzione o ne hanno di "molecolari", come i lavoratori autonomi, sono fragili e dipendono da scelte che si fanno altrove". Rossana Rossanda (2001)

domenica 9 ottobre 2011

Analisi storiche e strategia, e non “meta politica”. Livio Maitan sulla "nonviolenza" (Liberazione, 18 gennaio 2004)

Le condizioni di salute mi impediscono ormai da oltre due mesi di partecipare a riunioni o assemblee e limitano anche le mie possibilità di lettura. Tuttavia, mi permetto egualmente di esprimere la mia opinione sul dibattito in corso su “Liberazione” come pure su altri giornali.
1) Per preparare la conferenza programmatica non sarebbe stato di per sé negativo partire da riunioni seminariali, in cui esprimersi, per dir così, a ruota libera (avevo espresso questa opinione in un
colloquio telefonico con Bertinotti). Sta accadendo, invece, una cosa ben diversa: il dibattito è stato lanciato senza che fosse fissato nessun quadro né una priorità dei temi da affrontare, senza fissare regole di una ragionevole par condicio. Di fatto, si è cominciato a discutere su tutto contemporaneamente - dalla violenza in generale all’uso dei caschi nei cortei .
Così si rischia di sollevare un grosso polverone e di fare ben poca chiarezza sui problemi storici e strategici che effettivamente si pongono.
2) Schematizzando al massimo: il ripudio sommario del Novecento, delle concezioni delle strategie e delle pratiche di tutte le correnti del movimento operaio indiscriminatamente è quanto di più antistorico si possa immaginare e non serve affatto allo scopo, cioè a individuare le effettive cause delle sconfitte di portata storica che sono state subite. Un discorso analogo lo si può fare a proposito della condanna astratta della violenza e della assunzione della non-violenza come canone universale, con un approccio che si potrebbedefinire metastorico o metapolitico. Facciamo qualche esempio. Si può pensare seriamente che i comunisti iugoslavi abbiano intrapreso una drammatica lotta armata perché ideologicamente convinti dell’uso della violenza? La verità è che dovevano scegliere tra assistere allo sterminio dei loro popoli o rispondere organizzandosi anche militarmente. Discorso analogo per i comunisti cinesi: non dovevano forse intraprendere l’operazione militare che è stata la lunga marcia e lasciarsi annientare? E nella fase cruciale della fine del ’46 dovevano assistere al soffocamento della rivolta di massa dei contadini e non prospettare quel rilancio della guerra civile conclusosi tre anni dopo con il rovesciamento del regime del Kuomintang?
Per venire ai giorni nostri, non abbiamo bisogno di ribadire le ragioni per cui siamo contro l’uso del terrorismo. Ma un popolo schiacciato da un’occupazione militare, dopo una guerra infame, ha o no il diritto di organizzare anche militarmente la propria resistenza? Abbattere un elicottero impegnato in azioni militari è forse terrorismo?
3) Le polemiche quali sono condotte contro concezioni e impostazioni del Novecento finiscono inevitabilmente col scegliersi bersagli polemici fittizi, “dimenticando” quali fossero concezioni e dinamiche reali. Esempio da manuale: lo stucchevole motivo ricorrente del rifiuto della presa del palazzo d’inverno rappresenta una negazione di quello che la rivoluzione russa è stata, cioè una della più grandiose mobilitazioni di massa, proletarie e contadine, nel corso della storia. Non è neppure originale perché vi hanno fatto ricorso i socialdemocratici da oltre ottant’anni a questa parte. Vorremmo poi sapere chi ha concepito «la conquista dello stato attraverso l’annientamento dei nemici». Forse lo stesso Bertinotti ha cancellato dalla memoria “stato e rivoluzione” di Lenin e scritti fondamentali dei suoi predecessori. Comesi fa a dimenticare che quelli che si volevano “annientare” erano gli apparati statali, strumenti della dominazione delle classi dominanti, e costruire istituzioni e organismi politici qualitativamente diversi e storicamente originali? Altro che conquista del palazzo d’inverno!
4) Non sarà chi scrive a sottovalutare l’ineludibilità dell’interrogativo storico sulla deriva dell’Urss postrivoluzionaria e, in forme specifiche, di altre rivoluzioni. Condannare lo stalinismo non è che un punto di partenza. Ebbene, su questi drammatici processi ci si limita, il più delle volte, a evocare le legittime preoccupazioni di Rosa Luxemburg, la quale, tra parentesi, era tutt’altro che contraria alla presa rivoluzionaria del potere. Rosa non ha vissuto che poche settimane dopo l’Ottobre e non ha potuto analizzare i processi successivi. Invece, questi processi involutivi sul terreno politico, culturale, economico e sociale sono stati analizzati da rivoluzionari russi già dagli inizi degli anni ’20 oltre che da studiosi come Deutcher e Carr. Su tutto questo ci si limita, tutt’al più a rendere qualche omaggio. Un cattivo esempio fuori dalle nostre file: in un recente documentario televisivo Paolo Mieli riconosceva la critica antistalinista di correnti comuniste, aggiungendo però che queste correnti riducevano tutto alla responsabilità di una singola persona. Egregio Mieli, si rinfreschi la memoria leggendo o rileggendo, oltre a Trotsky, per esempio Preobrajenski o Rakovski, prima di lanciarsi in valutazioni deformanti.
5) Dati i rapporti di forza su scala mondiale o regionale non è facile impostare oggi il problema del potere, cioè non della presa di un qualsiasi palazzo più o meno annerito dagli anni ma della sostituzione delle classi dominanti vecchie e nuove e della rottura dei loro apparati di dominazione. Ma sembra ormai diffusa la tendenza non a cercar di porre il problema nei suoi veri termini nel contesto contemporaneo, ma semplicemente a negare che esista. Così di strada non se ne farà molta per prepararsi a future, ineludibili scadenze. E a chi fornisce una lettura apologetica della stessa straordinaria esperienza degli zapatisti - i quali, peraltro, hanno iniziato con azioni armate - chiediamo: forse l’organizzazione democratica delle comunità del Chiapas permette di ignorare il problema di un potere statale centrale che continua a opprimere oltre cento milioni di messicani.
6) Siamo tutti d’accordo che i problemi politici e strategici esigono una prospettiva europea e cheè necessario sforzarsi di costruire un partito europeo di alternativa. Ma nel contesto attuale le scelte concrete potevano essere due: considerare essenziale una affinità programmatica e politica oppure allargare al massimo senza definizioni precise. Sembra prevalere la seconda scelta, tuttavia con l’esclusione di forze tra le più rappresentative. Negli anni scorsi e in particolare al forum di Firenze c’era stata una molto maggiore convergenza, pubblicamente espressa, su concezioni e metodi d’intervento, con la Lcr che con il Pcf. Forse oggi non è più così?
Comunque sia, una decisione come quella siglata a Berlino avrebbe dovuto essere preceduta
da convocazioni della direzione e del Cpn, a loro volta preparate da dibattiti in sede provinciale e
nei circoli. Non c’era nessun ostacolo a procedere in questo modo. Quello che chiediamo giustamente alle direzioni sindacali perché non cominciamo a farlo noi stessi?

sabato 24 settembre 2011

Che cos'è davvero il centralismo democratico?



Non solo prima del 1917, ma anche durante tutti gli anni terribili della guerra civile, quando il potere sovietico era appeso a un filo, nel partito bolscevico c'era non solo il diritto di tendenza ma perfino quello di frazione. Vuol dire che nei congressi si potevano presentare documenti diversi con pari diritto, ed era possibile il raggruppamento pubblico tra un congresso e l'altro dei sostenitori di una posizione rimasta in minoranza (che solo così poteva accettare la disciplina, dato che poteva al tempo stesso lavorare per diventare maggioranza al congresso successivo), e i congressi erano ravvicinati (tra il '17 e il '23, uno all'anno).
Pari diritti voleva dire anche che se il relatore di maggioranza parlava due ore, anche chi presentava l'altra posizione doveva avere uguale tempo. Nella concezione di Lenin, inoltre, l'organo sovrano era il congresso, e tra un congresso e l'altro il comitato centrale. L'Ufficio politico doveva solo applicare la linea tra una riunione e l'altra del CC, non sostituirsi a esso, e ancor meno potere decisionale aveva la segreteria, che era un organo tecnico di esecuzione delle decisioni. Nei partiti comunisti stalinizzati, invece, si considerava sovrana la segreteria. Dal vecchio sito di Bandiera Rossa

martedì 30 agosto 2011

Solitudine


"In questa solitudine,
nell'estremo inverno
abbiamo cotto il nostro riso"
Tashiro Tsuramoto

mercoledì 9 febbraio 2011

Il guru del mixer. Dall'hard rock alla Nwobhm: Martin Birch


1981
Fare degli Iron Maiden i nuovi Deep Purple: è questo l’obiettivo della Emi quando nel 1979 fa firmare a Harris e soci un contratto discografico per la realizzazione di ben tre album.
A rafforzare l’analogia tra le due band – pur nelle comunque notevoli differenze stilistiche – contribuisce l’arrivo di Martin Birch, lo storico produttore per l’appunto dei Deep Purple e di altri gruppi storici come Rainbow, Fleetwood Mac, Wisbone Ash, Whitesnake e Deep Purple.
Ed è proprio il man in black Ritchie Blackmore a fare ascoltare a Birch l’album di debutto dei Maiden e a suggerirgli di produrli (fonte: biografia della band sulla versione enhanced di Killers).
Birch porta quindi nell’heavy metal l’ esperienza di un uomo che ha fatto la storia dell’hard rock e ne ha seguito lo sviluppo in album come Rising dei Rainbow e Mob rules dei Sabbath.
Come detto rinforza la squadra, ed in modo decisivo, anche l’arrivo del chitarrista Adrian Smith, amico di lunga data di Dave Murray.
In pochi mesi la band compone e registra quindi il secondo album Killers, che parte della critica specializzata considera come il migliore album di sempre degli inglesi.
La pensa in questo modo Luca Signorelli, fra i decani del giornalismo metal italiano, che nel suo “L’estetica del metallaro, là fuori ci sono solo morti” inserisce il secondo lavoro dei Maiden tra i 25 pezzi della discografia minima del metal.
Allo stesso modo Metallus assegna a Killers – unico tra gli album dei Maiden – il massimo dei voti. “E’ il vero capolavoro della band - si può leggere nella recensione - con un Di Anno strepitoso, composizioni tutte di grandissima qualità e musicisti ispirati come non mai”.
In Killers trovano spazio nuove composizioni e vecchi pezzi esclusi dal primo album, come Wrathchild e Innocent exile.
La produzione eccezionale di Birch tira al lucido il sound maideniano.
Killers rappresenta senza un dubbio un capitolo unico nella lunga discografia degli inglesi: duro e metallico, intricato, tecnico ma diretto. Il drumming di Clive Burr non lascia respiro e riempie ogni spazio.
Dal punto di vista tecnico-esecutivo il secondo capitolo della saga maideniana include piccoli gioelli strumentali come The ides of march e Genghis Khan. In cui si può apprezzare pienamente il salto di qualità prodotto dall’ingresso di Smith.
La title track è forse il pezzo più duro e feroce mai realizzato dai Maiden. Il testo, scritto da Paul Di Anno, fu cambiato più volte in corso d’opera prima di giungere alla versione definitiva presente nell’album.
Se Killers, nella patria inglese, non ripete il successo dell’album di debutto – si ferma al dodicesimo posto della classifica britannica - è proprio col secondo lavoro che i Maiden cominciano ad acquisire una fama mondiale.
Grande successo specialmente in estremo oriente. Del trionfo nelle date giapponesi del tour rimarrà traccia nel maxi single Maiden Japan.
Rimane ottima testimonianza delle date italiane del tour anche nel bootleg Live in Reggio Emila, registrato il 31 marzo del 1981.
A conclusione del tour mondiale arriva però la doccia fredda. Una vita condotta secondo il puro r’n’r – fumare molto e bere di più – impedisce a Di Anno di stare al passo di una band sempre più grande e a cui è richiesta una sempre maggiore professionalità. Alcuni concerti vengono annullati proprio a causa delle cattive condizioni del cantante.
Di Anno non regge lo stress della vita on the road e nel settembre 1981 lascia – o viene indotto a lasciare - i Maiden.
Lascia Paul Di Anno e arriva Paul Bruce Dickinson, già alla voce con i Samson, con i quali tra il 1979 e il 1981 ha inciso tre album in studio: Survivors, Head on e Shock tactics e il Live at Reading. E proprio in occasione dello storico festival inglese – così narra la leggenda – Rod Smallwood propone a Bruce di entrare nella band.
La nuova line up viene rodata con una serie di concerti in Italia dal 26 al 30 ottobre: Bologna – il primo concerto in assoluto di Bruce con gli Iron Maiden -, Firenze, Roma, Udine e Milano.
Dal libro, in cerca di editore, "Iron Maiden. Neanche un anno sprecato".
Per info scivere a: godai73fab@yahoo.it