domenica 8 settembre 2024

Cozy Powell - Over The Top





Gary Moore, Don Airey, Jack Bruce, David Clempson, Max Middleton. E' questo il calibro degli amici musicisti e compagni di bevute che Cozy Powell è in grado di riunire attorno alla sua batteria, con Martin Birch dietro il mixer, per incidere "Over the top", roccioso album solista fra prog e hard, al termine di un decennio di scorribande nel mondo del Rock. 




"Over The Top" è un lavoro totalmente strumentale ma dalle atmosfere estremamente variegate per il batterista che sapeva unire la potenzadi "Bonzo" Bonham alla scioltezza di Ian Paice ed è da molti considerato il miglior drummer della scuola hard rock classica. 

Fra le gemme  di "Over the top" luccicano ancora oggi capolavori come "Heidi comes to town" (Airey/Powell) e in particolare la classicissima "The Loner", scritta e suonata per l'occasione dal tastierista Max Middleton sul suo Fender Rhodes, riproposta da Gary Moore negli anni Ottanta su "Wild Frontier" e infine "saccheggiata" da Ritchie Blackmore in "Carry on Jon", tributo strumentale a Jon Lord.

nota: Recensione del 2016 mai pubblicata e, per usare un termine di moda, recuperata nel 2024.

Stormy Six - Un biglietto del tram

Fra le pagine della storia del prog, quella dei gruppi che diedero vita alla corrente "rossa" Rock in Opposition, è senza dubbio fra le meno percorse dal giornalismo musicale italiano. Forse perché queste band erano schierate politicamente da quella che Bertolt Brecht definiva "la parte del torto". 

Eppure l'Italia, con i suoi Stormy Six, fu senza dubbio fra i "paesi-guida" di questo movimento. Il concept album, "Un biglietto del tram", inciso nel marzo del 1975 negli studi Ariston di San Giuliano Milanese,è il capolavoro del gruppo di Fiori e Leddi. 


L'impatto epico di inni politici come "Stalingrado", si unisce ai ricordi degli episodi della Resistenza antifascista ("La fabbrica", "Gianfranco Mattei") all'interno di un tessuto musicale acustico e di pregio: fatto di puro spirito progressive, di chitarre, violini, mandolini e balalajke.


nota: recensione del 2016 recuperata nel 2024

giovedì 11 luglio 2024

Livio Maitan – La strada percorsa, 2002, Massari editore

 



“La strada percorsa” è la autobiografia politica di Livio Maitan. Pubblicato nel 2002, due anni prima della morte, il libro ripercorre in 722 pagine le tappe principali del percorso del rivoluzionario italiano: dal risveglio delle giovani generazioni dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, fino al dopo Genova 2001 nel pieno della stagione dei nuovi movimenti sociali del XXI secolo.  Una vita spesa dedicata alla difesa del marxismo rivoluzionario e alla costruzione della IV Internazionale, nel mondo e in Italia. Chiaramente, in una autobiografia come quella di Maitan, il bilancio di una vita va di pari passo col bilancio politico della stessa.

[…] il mio bilancio autobiografico – scrive Maitan nelle riflessioni conclusive – non può andare disgiunto dal bilancio della corrente politica e culturale, nazionale e internazionale, cui ho aderito nel 1947, partecipandovi attivamente e senza interruzioni sino a oggi. A sua volta questa corrente, per quanto sorta in contrapposizione alle correnti dominanti, non può fare astrazione da un bilancio di un secolo del movimento operaio nel suo complesso”. (pagina 680)

In Maitan rimane fino all’ultima stagione della vita l’idea che un’altra storia, con altre scelte politiche e percorsi alternativi, sarebbe stata possibile. 

[…]. Resto convinto che le scelte fatte dalle forze egemoniche del movimento operaio non fossero ineluttabili e che scelte diverse, con diversi risultati, sarebbero state perfettamente possibili. Ribadisco l’idea secondo cui i progetti strategici via via avanzati da diversi partiti e da diversi dirigenti – la politica di unione nazionale proiettata a tempo indeterminato anche dopo la fine della guerra e la caduta del fascismo, il centrosinistra nella visione di Nenni e del suo partito e il compromesso storico – erano irrealistici perché basati su un’interpretazione insussistente delle dinamiche possibili, come l’esperienza avrebbe ampiamente dimostrato”. (pagina 683)

Livio Maitan – Destino di Trockij, Rizzoli, 1981

 



 

“Destino di Trockij” è un saggio che Maitan mette insieme nel 1980, a 40 anni dalla morte e a 100 anni dalla nascita del grande rivoluzionario russo.  Questo lavoro, pubblicato da Rizzoli nel febbraio 1981, raccoglie una serie di interventi pubblicati dal 1977 al 1980, in una Italia in cui, scrive l’autore, “in sede tanto di riflessione storica quanto di dibattito politico è stata riservata a Trockij un ‘attenzione molto minore di quella di cui sono stati oggetto esponenti del movimento operaio e studiosi di valore intrinseco di valore non certamente superiore”. Il destino di Trockij è la strada di chi ha scelto di continuare a percorrere la strada, in salita, del marxismo rivoluzionario e internazionalista.  Il saggio in questione compie un’analisi ad ampio spettro con lo sguardo rivolto agli anni Ottanta appena cominciati. Gli scritti del rivoluzionario russo sono lo strumento che Maitan utilizza per riflettere su alcuni dei processi storici più significativi e discussi in quegli anni: dalla Polonia del 1980 alla rivoluzione culturale cinese, dalla guerra fra i paesi socialisti all’eurocomunismo. Al centro dell’analisi di Maitan è, in particolare, la questione della burocrazia nelle società del blocco dell’est.

Citazione dalla parte prima:

“[…] l’opera di Trockij risulta scomoda perché fa piazza pulita delle penose giustificazioni apologetiche, secondo cui di quanto accadeva nell’URSS e dei crimini di Stalin per lungo tempo non si era potuto sapere nulla […].  La ragione principale del fenomeno indicato risiede, tuttavia, nel fatto che l’opera di Trockij ha avuto e continua ad avere implicazioni notevoli per i problemi cruciali che si pongono attualmente alle società di transizione e al movimento operaio mondiale. Proprio questa attualità è l’origine dei silenzi imbarazzati e delle persistenti elusioni, oltre che delle stroncature sommarie, operate magari con il comodo sistema delle disinvolte etichettature, senza nessuno sforzo di argomentazione. D’altro canto, proprio per la sistematicità, la profondità e la chiarezza estrema l’opera trockiana non si presta a interpretazioni fantasiose e ad adattamenti ad esigenze politiche mutevoli”.

Livio Maitan, Il Dilemma cinese, Datanews, 1994

 



“Il dilemma cinese” ripercorre la storia della Cina dal 1919 ai primi anni ’90: la particolarità della rivoluzione e i rapporti con lo stalinismo, la prima fase postrivoluzionaria, la “grande rivoluzione culturale proletaria”, l’interludio che precede la morte di Mao, il nuovo corso di Deng Xiao Ping, l’esplosione della primavera 1989, il rilancio e la generalizzazione del nuovo corso (1991-1993).  In una fase di grandi cambiamenti per la Repubblica Popolare, Maitan propone una chiave di lettura della situazione cinese alternativa alle due interpretazioni prevalenti

“La prima – spiega l’autore nell’introduzione al volume – è consistita nel mettere l’accento sulle peculiarità, storiche e contemporanee, del paese, mentre la seconda ha teso a inserire il ‘caso ‘ cinese nella più generale tipologia delle società di transizione burocratizzate. Per parte nostra, riteniamo che, se si vuole afferrare il bandolo della matassa, è necessario combinare gli elementi più validi delle due interpretazioni, cogliendo tutti gli incontestabili elementi di specificità, ma al tempo stesso non perdendo di vista elementi di fondo comuni che hanno caratterizzato l’esperienza delle società postcapitalistiche, in Europa e in Asia, come, per certi aspetti, nella stessa Cuba”.

La prima parte del saggio, sottolinea Maitan, riprende “Partito, esercito e masse nella crisi cinese” (Samonà e Savelli, 1969) dello stesso autore. Chiudono il libro delle utilissime appendici che affrontano, fra gli altri aspetti, la “figura contradditoria” di Mao Zedong, il conflitto armato fra Cina e Vietnam e un glossario con i principali protagonisti della storia cinese del Novecento.

 

domenica 19 maggio 2024

Stalin e la nascita dello stato di Israele: poche righe di Canfora.


 Quale fu il ruolo di Stalin e del nascente blocco dell'Est nel consentire la nascita dello stato di Israele?
La prefazione firmata da Luciano Canfora al libro "Perché Stalin creò Israele", di Leonid Mlecin, illustra i fatti in poche righe.
"Nonostante l'accusa di strumentalismo e di realpolitik nei confronti della politica estera sovietica, la scelta culminata nel voto sovietico a favore della Risoluzione 181 dell'Assemblea generale dell'Onu, il 26 novembre 1947, che stabiliva la divisione in due della Palestina e la creazione dello Stato di Israele, rappresenta un esito del tutto coerente con le premesse poste quasi tre anni prima alla Conferenza sindacale mondiale di Londra, nel febbraio 1945. Qui la delegazione sovietica approvò una risoluzione molto impegnativa e dal contenuto inequivocabile che sollecitava in due direzioni: proteggere gli ebrei contro l'oppressione e la discriminazione in qualunque paese,; dare al popolo ebraico la possibilità di costruire un "focolare nazionale" in Palestina [...]. In quel momento c'era doppiezza da parte sovietica. Essa penalizzava gli arabi e soprattutto i partiti comunisti dell'area (quello palestinese in particolare) ai quali veniva fatto intendere - per esempio dal console sovietico a Beiriut, Ruben Agronov - che il governo sovietico non intendeva, con ciò, esprimersi a favore della creazione di uno stato ebraico in Palestina. [...]
SI EBBERO, ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELL'ONU, 33 VOTI A FAVORE, 13 CONTRO E DIECI ASTENSIONI.
CON L'URSS VOTARONO UCRAINA, BIELORUSSIA, POLONIA E CECOSLOVACCHIA.
SE QUESTI CINQUE VOTI FOSSERO PASSATI NEL CAMPO DEI CONTRARI O DEGLI ASTENUTI, CI SAREBBE STATO UN RISULTATO DI PARITA': 28 CONTRO 28.
E LA RISOLUZIONE PER LA NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE SAREBBE STATA RESPINTA".

sabato 16 marzo 2024

Advocacy 'The Path Of Decoherence' - Prog metal a cinque stelle


La lunga attesa e i sacrifici sono stati ripagati. A nove anni dal primo ep ‘Geophobia’ (2015), i danesi Advocacy arrivano finalmente alla pubblicazione del primo lp. ‘The Path Of Decoherence’ è una gemma del prog metal: un album dal valore assoluto sia dal punto di vista della tecnica strumentale che della composizione. Se l’influenza primaria della band appaiono i Dream Theater, quelli della freschezza innovativa di ‘Images And Words’, la band di Aarhus accantona momenti solari e ritornelli orecchiabili per puntare tutto sulla costruzione di melodie ipnotiche e atmosfere meditative. Nella band, che opta per la formazione a due chitarre con qualche inserto tastieristico, gioca un ruolo la chiave la voce malinconica di Soren Kjeldsen, fra l’altro coprotagonista di spettacolari evoluzioni alle sei corde.